definizione
La “capacità di essere vitale”, cioè la possibilità e l’abilità di vivere e sopravvivere: potrebbe essere definita la “conditio sine qua non”, ovvero la condizione necessaria, l’elemento indispensabile affinché la vita possa esprimersi; indica la forza vitale, l’energia basilare, fondamentale per poter mantenere l’omeostasi individuale, ed interagire, attraverso l’allostasi, con l’ecosistema di riferimento; il termine, derivato dal latino vitalitas, affonda le proprie radici semantiche nel termine sanscrito g’ivathas, dove la g’ aspirata è stata sostituita dalla v nel latino arcaico vivita che si è contratta nel latino vita.
Non a caso si utilizza il termine vitalità per descrivere la capacità fisiologica di un neonato di superare lo stress della nascita e svilupparsi indefinitamente in modo autonomo: questo utilizzo ci permette di comprendere come la vitalità, intesa come quantità e la qualità dell’energia a disposizione dell’organismo, sia un elemento caratterizzante il dinamismo, l’efficienza e l’operosità di ogni persona, condizionandone la stamina, la consistenza e l’efficacia durevole.
vitalità ed ethos
Il concetto di vitalità non si limita agli aspetti prettamente fisici o metabolici, ma investe la sfera “etica”, esprimendo una forza di tensione fisico-spirituale, in grado di esternarsi con comportamenti teleologici: la vitalità è un valore assolutamente individuale e caratteristico, dipendente dall’interazione fra il patrimonio genetico personale e l’elaborazione somato-emozionale delle esperienze soggettive.
Questa energia vitale è alla base dell’ethos individuale: il “carattere” o il “temperamento” rappresentano l’espressione di questa forza: gli stressor ad azione biocidica tendono a diminuire non solo la disponibilità istantanea dell’energia vitale, ma possono, progressivamente incidere sui comportamenti quotidiani, sul modo di affrontare la vita.
Il progressivo depauperamento delle riserve organiche, minando la “capacità di essere di essere vitale” e favorendo l’insorgenza del dis-stress fino allo nascita del “morbo”; viceversa, le forze biogeniche, siano esse somato-emozionali o spirituali, possono nutrire l’organismo e rafforzare la capacità allostatica e la dinamicità, prevenendo il decadimento dell’energia organica.
genetica – ambiente – vitalità
In un certo senso, l’energia prenatale determina la costituzione individuale e la qualità potenziale della vita (stamina) mentre il quotidiano attualizza e determina la vitalità residuale: il nutrimento, l’espressione corporea, i vissuti e la consapevolezza esperienziale, l’ecosistema possono rafforzare, preservare o consumare la dotazione energetica iniziale.
La vitalità potrebbe essere assimilata al Qi della medicina cinese: la disponibilità di questa energia vitale deriva dall’influenza reciproca fra l’energia ancestrale (jing), che esprime quanto ereditiamo dai nostri progenitori, e quanto apportiamo all’organismo sotto forma di nutrimento (energia nutrice o yinqi, detta anche rong), che rappresenta l’energia terrena ed il respiro (energia difensiva o tianqi, detta anche oè): la salute ed il ben-essere sono la naturale manifestazione di queste forze vitali e della loro capacità di prevenire il decadimento dell’energia ancestrale.
La definizione di queste energie deve essere vista in senso metaforico: l’energia nutrice non è determinata esclusivamente dall’apporto alimentare, ma da ogni nutrimento che possa sostenere (o danneggiare) il vigore del sistema somato-emozionale; parimenti l’energia respiratoria non può essere limitata semplicemente all’alternarsi di inspirazioni ed espirazioni, ma deve essere vista come la somma delle interazioni fra l’”IO” e l’ecosistema che ci circonda, attraverso i sistemi neuro-vegetativi.
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