umami

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definizione

Viene considerato uno dei gusti fondamentali percepiti dalle cellule recettrici specializzate presenti nel cavo orale umano; originariamente si pensava che questi fossero dolce, salato, amaro e aspro: solo negli anni ’90 del XX° secolo è stato inserito il gusto umami, dal giapponese 旨み、旨味、うまみ (→ saporito, gradevole al palato), termine utilizzato per identificare il sapore di glutammato monosodico o monosodioglutammato (MSG), che è particolarmente presente in cibi come la carne, il formaggio ed altri alimenti ricchi di proteine.

In realtà a partire dalla seconda decade del XXI° è stato riconosciuto un nuovo gusto, definito al momento oleogusto: assieme all’umami ed all’amaro, questi gusti sono stati raggruppati dai ricercatori in un insieme definito “nebulous bucket”, letteralmente scomparto indistinto, in quanto questi sapori sono di più difficile decrittazione da parte del senso del gusto, pur svolgendo un ruolo di esaltatori degli altri sapori base.

scoperta dell’umami

L’umami è stato identificato come un gusto fondamentale nel 1908 dal giapponese, professore di chimica, Kikunae Ikeda che, mentre compiva ricerche sul sapore forte del brodo di alghe Kombu, isolò il glutammato monosodico come responsabile del sapore; l’umami si può percepire anche, in valori più o meno concentrati, in alcuni alimenti già a crudo, quali il formaggio Parmigiano-Reggiano, specie se lungamente stagionato, il pomodoro maturo, i funghi porcini secchi, la colatura d’alici e l’aglio nero. L’umanami è frequentemente rappresentato dalla cucina orientale in quanto presente in alimenti come il katsuobushi (una bottarga di tonno che viene utilizzata in scaglie), nei funghi Shiitake (Lentinula Edodes) essiccati, nel miso (un condimento derivato dai semi della soia gialla, cui spesso vengono aggiunti cereali come l’orzo o il riso, la segale, il grano saraceno o il miglio).

La definizione ufficiale dell’Umami Information Center è «un gusto sapido piacevole che viene dal glutammato e da diversi ribonucleotidi, tra cui inosinato e guanilato, che si trovano naturalmente in carne, pesce, verdura e prodotti lattiero caseari»: l’umami può essere riconosciuto come sapore nel prosciutto crudo, nel tonno e nelle sardine, nella carne di manzo, nel pollo e nel maiale, nei funghi, nelle cipolle, nei piselli, negli asparagi, nei broccoli, nelle rape e in condimenti come la salsa di soia, utilizzata proprio per rendere più “sapidi” i cibi su cui viene utilizzata; il gusto umami è anche quello del latte materno, che contiene una percentuale elevatissima di glutammato.

Il gusto umami è quello dei cibi proteici, necessari al nostro organismo e quindi piacevoli, stimola la salivazione, la digestione e l’assorbimento dei nutrienti, tanto che alcuni studi identificano non solo sulla lingua ma anche nello stomaco la presenza di papille gustative dedicate a questo sapore; le zuppe e gli stufati cucinati a lungo, una completa maturazione degli alimenti, una lunga cottura o la fermentazione, che liberano gli amminoacidi, sono sostanze in grado di attivare i ricettori dell’umami, così come prodotti quali il «Marmite» (crema spalmabile a base di estratto di lievito, ottenuto dal processo di produzione della birra) o «Vegemite» (crema salata fatta di estratto di lievito, prodotto a marchio registrato della Kraft Foods Inc.).

biochimica dell’umami

Il glutammato monosodico è un sale dell’acido L-glutammico, uno dei venti amminoacidi che compongono le proteine umane, fra più presenti negli alimenti, sia in forma libera che sotto forma proteica: il glutine è composto per il 25% da questo amminoacido, mentre la caseina circa per il 20-23%; oltre ad essere implicato nella costituzione delle proteine, acido glutammico è uno dei più importanti neurotrasmettitori del sistema nervoso centrale, implicato in funzioni cognitive quali l’apprendimento e la memoria.

Non è un amminoacido essenziale, in quanto l’organismo è in grado di sintetizzarlo a partire da altre molecole quando necessario, soprattutto in caso di stress psicofisico o malattia, evidenziando come questa molecola sia vitale per il funzionamento delle cellule; il glutammato è presente naturalmente in tutti gli alimenti, in quanto amminoacido molto ripetuto nelle catene che formano le proteine: quello che però viene percepito dalle cellule sensoriali presenti sulla nostra lingua è solo la quota di acido glutammico presente in forma libera, ovvero non inglobato nelle proteine.

In seguito alla scoperta del dott. Kikunae Ikeda, altri ricercatori si misero ad esplorare gli alimenti con uno gusto spiccato, per cercare di isolare altre sostanze in grado di stimolare la percezione sensoriale dell’umami: prendendo in esame diverse tipologie di cibo, si scoprì che alcuni 5′-nucleotidi quali l’inosina 5-monofosfato (IMP), la guanosina 5-monofosfato (GMP) e l’adenosina 5-monofosfato (AMP), derivanti dalla degradazione degli acidi nucleici come l’RNA o il DNA, influenzavano positivamente la percezione dell’umami. Uno degli aspetti più interessanti è che questi 5-nucleotidi non sono in competizione con il glutammato per stimolare i recettori dell’umami, come invece accade ad esempio nel recettore del dolce, dove saccarosio e fruttosio cercano entrambi di attivare il recettore, ma agiscono in sinergia, potenziando la percezione sensoriale, comportandosi cioè da agonisti allosterici del glutammato sui recettori sensoriali.

umami dall’antichità all’oggi

In realtà il gusto sapido è presente nella nostra cucina già dall’antichità: Marco Gavio Apicio, gastronomo e cuoco vissuto a Roma a cavallo dell’anno zero, menziona nei suoi ricettari (giunti fino a noi nella raccolta di dieci libri intitolata De re coquinaria) il garum; lo stesso veniva nominato da autori più autorevoli e famosi tra i quali Plinio il Vecchio (Naturalis historia XXXI) e Seneca (Epistulae morales ad Lucilium, XV), e ancora prima, viene citato in fonti greche del V-IV secolo a.C. (EschiloSofocle).

Stando alle descrizioni, il «garum» un condimento dall’aspetto di un liquido denso e ambrato, molto utilizzato nella cucina dell’Antica Roma, ottenuto facendo fermentare piccoli pesci (come i latterini, le triglie e le acciughe), pesci più grandi fatti a pezzi (sgombri) e interiora di pesce, sistemati a strati intervallati da due dita di sale in una vasca con un fondo di erbe aromatiche come aneto, coriandolo, finocchio, sedano, menta, pepe, zafferano, origano; le vasche venivano fatte fermentare al sole per venti giorni, iniziando a rimescolare il tutto a partire dal quinto giorno: alla fine veniva separata la parte più densa, il «garum», dalla parte liquida, il «liquamen».

Prodotto in Tunisia, nell’attuale Libia, in Spagna, in Campania, era una salamoia satura nella quale gli enzimi proteolitici scindevano le proteine del pesce ottenendo un concentrato di glutammato e inosina; la pasta di acciughe o ancor di più la celebre e pregiata colatura di alici di Cetara sono prodotti molto simili al «garum», così come le salse di pesce fermentato presenti nella cucina di differenti territori non solo del Mediterraneo possono essere considerati evoluzioni, o assimilati al «garum»: il pissalat di Nizza, lo tsirosi della Grecia, il fesikh dell’Egitto, il ca-thuy della Cambogia, il nuoc-man vietnamita, le salse della Thailandia e delle Filippine.

Quindici secoli dopo Marco Gavio Apicio, lo spagnolo Hernán Cortés rientrò in Europa dal Nuovo Mondo portando con se, oltre all’oro azteco, alcuni frutti tra i quali dei pomi dal caratteristico colore dorato: coltivati per due secoli come piante medicinale o decorative, solo nel XVII° secolo entrano a far parte della cultura gastronomica italiana, anche grazie ad un lavoro di selezione e innesti che ne ha trasformato il colore da dorato a rosso; giunti al massimo livello di maturazione, i pomidori rossi arrivano a contenere grandi quantità di glutammato, specialmente in prossimità della buccia e nei semi.

I processi di invecchiamento, stagionatura e fermentazione aumentano notevolmente la concentrazione di glutammato libero: gli enzimi proteolitici presenti nelle cellule rimangono attivi per molto tempo e procedono all’idrolisi delle proteine, scindendo gli amminoacidi che le compongono: questi amminoacidi liberi sono in grado di stimolare, ognuno in maniera diversa, i gusti fondamentali, andando quindi ad influire sulla complessità di sapori dell’alimento che subisce il processo; contemporaneamente, l’allontanamento dell’acqua per salatura e evaporazione concentra le sostanze presenti. Esempi ne sono il prosciutto, dove la quantità di glutammato aumenta durante la stagionatura e contemporaneamente si riduce la quantità di acqua presente nei tessuti, o la carne carne bovina, durante la frollatura.

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