sensibilità

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definizione

Il termine nasce dal latino sensibilĭtas, derivato da sensibĭlis (→ che ha la capacità di sentire), per effetto della crasi di sensus, participio passato di sentire (→ sentire, percepire, provare) e abĭlis (nella forma –ibilis); il suffisso -abĭlis esprime sia la possibilità o la necessità di quanto predicato dal verbo (senso passivo), sia con valore attivo

Avere sensibilità ed essere sensibile sono le due facce espresse da questo lemma: non solo l’abilità, cioè la capacità o la possibilità, di sentire ma anche l’essere percepito tramite i recettori deputati a interpretare gli stimoli sensori; nello specifico, è definibile come l’attitudine o la facoltà di ricevere impressioni attraverso i sensi, cioè di conoscere l’ambiente per mezzo degli organi deputati alla percezione.

sensibilità sensoriale

Esprime l’attività del sistema nervoso, caratterizzata dall’abilità di avvertire e di analizzare gli stimoli che agiscono sull’organismo, siano essi interni o esterni, informandone (o meno) la coscienza.

Può essere identificata una sensibilità specifica, i cui elementi recettoriali sono riuniti in apparati, anatomicamente ben distinti dal rimanente organismo (organi sensoriali), che si esprime in forme (cioè in sensazioni) definite, particolarmente precise e nitidamente avvertite dalla coscienza (visiva, acustica, gustativa, olfattiva …); esiste, poi, una sensibilità generale, così denominata perché i suoi recettori sono sparsi in molti organi e apparati o perché, pur essendo questi riuniti in un organo ben circoscritto (sensibilità vestibolare), le percezioni e le risposte adattative da esse dipendenti, interessano l’organismo nel suo insieme.

La sensibilità generalizzata è caratterizzata dagli stimoli derivanti dall’esterno (esterocettiva), come nel caso della percezione tattile, dolorifica e termica a livello di cute e mucose o da stimoli interni, di sensazioni derivanti da muscoli, tendini, articolazioni detta sensibilità propriocettiva (o cenestesica), oppure da vasi e visceri (enterocettive). La sensibilità generale si distingue ulteriormente in protopatica o epicritica: la prima rappresenta la parte più grossolana ed è mediata dal talamo, e implica la percezione semplice ed elementare del caldo, del freddo e del dolore; la seconda rappresenta la forma più elevata di percezione, ha sede nella corteccia parietale, e permette giudizi discriminativi, oltre che d’intensità, di localizzazione, nonché la sensibilità tattile, il senso di posizione e di movimento degli arti, la percezione delle pur minime variazioni di temperatura.

Per estensione è possibile definire la sensibilità come la capacità di avvertire gli effetti causati dagli stimoli che tendono a entrare nella sfera sensoriale individuale ed indurre modificazioni dell’omeostasi, in grado cioè di provocare azioni o reazioni di adattamento.

Può essere quindi descritta come l’abilità di discriminare la minima variazione del “valore” misurabile che può essere apprezzata dallo strumento deputato a riconoscere quel particolare stimolo (recettore): tanto è minima la variazione, maggiore è la sensibilità. Questo fenomeno può essere indipendente dal recettore stesso, ma dipendere da fenomeni di facilitazione segmentale o neurologica.

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