definizione
Termine utilizzato per descrivere le caratteristiche organolettiche tipiche acquisite dall’olio, dal burro, dalle sostanze grasse o dai cibi, soprattutto crudi, contenenti sostanze grasse che hanno subìto un processo di irrancidimento, acquistando quindi odore e sapore acre, aspro e sgradevole: dal latino rancĭdus, derivato di rancere (→ essere rancido, putrefatto), il lemma viene utilizzato, a volte, per indicare una sostanza grassa andata a male, avariata o deteriorata; è interessante notare che anche il termine rancore deriva dallo stesso verbo.
Il gusto rancido viene associato spesso all’idea di conservazione difettiva, evocando il sentore del prosciutto tagliato da tempo, della frutta secca invecchiata, del burro diventato giallo, acido e con un retrogusto amarognolo, di caffè invecchiato perchè non confezionato adeguatamente o lasciato lungamente all’aria; l’irrancidimento. però, è anche il processo necessario per ottenere formaggi piccanti o gli erborinati, o parte di prodotti antichi che si ritrovano in ogni tradizione.
rancido e oleogusto
Nel concetto gustativo tipico dei sapori, da un punto di vista della cultura alimentare dei paesi europei, il sapore rancido in genere stimola più un atteggiamento di repulsione che di attrazione; diversa è la considerazione che tale stimolo sensoriale scatena in persone cresciute nelle isole Faroe mangiando il «rast» (agnello essiccato per due mesi, senza conservanti), in Marocco mangiando lo «smen» (burro fermentato), o in Tibet, dove si consuma il burro di yak, uno degli alimenti di base della popolazione nel sud dell’Asia centrale, in quella che viene considerata una vera prelibatezza, il «bò cha» (tè tibetano al burro di yak rancido).
Il sapore rancido può essere definito come l’espressione del processo di decomposizione dei trigliceridi per idrolisi o ossidazione: questo processo crea acidi grassi liberi, pertanto l’oleogusto è l’espressione del gusto, assieme alla palatabilità ed alla cremosità, che questi acidi grassi liberi conferiscono agli alimenti.
In particolare, nel burro, un alimento che normalmente viene utilizzato come esempio di prodotto sottoposto ad irrancidimento, fra i vari trigliceridi (M.C.T.) che lo compongono ci sono quelli che contengono acido butirrico: l’ossidazione provoca la rottura dei trigliceridi con liberazione di acido butirrico, un M.C.F.A., che come acido grasso libero, produce un odore ed un gusto peculiare, che contribuisce al sapore e all’aroma di alimenti quali il Parmigiano-Reggiano, il formaggio di capra e il «kombucha» (una bevanda ottenuta dalla fermentazione del tè zuccherato); l’acido butirrico conferisce anche un l’odore primario, pungente e acre, del vomito umano, dove è presente in grande quantità.
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