definizione
L’attitudine propria degli organismi viventi, a mantenere in stato di equilibrio le proprie caratteristiche al variare delle condizioni esterne; il concetto è stato esteso, nell’ambito della cibernetica, a sistemi di qualunque natura che siano in grado di autoregolarsi (omeostati). Già nel secolo XIX, Claude Bernard, nel suo libro «Les phénomènes de la vie», aveva evidenziato come una delle caratteristiche fondamentali degli esseri viventi fosse la capacità di conservare, nel proprio “milieu intérieur” (ambiente interno), la costanza dei parametri che garantiscono la vita; dal greco ομέο (omeo → simile) e -στάσις (stásis → stabilità, fissità):
Queste osservazioni vennero sviluppate appieno dal fisiologo americano Walter Bradford Cannon, nel 1932, che nel suo libro «The wisdom of the body», richiamandosi esplicitamente a Claude Bernard, descrisse i vari sistemi di controllo presenti negli organismi, definendo omeostasi la capacità di mantenere invariati i propri parametri vitali, reagendo alle variazioni dell’ecosistema che, con i propri mutamenti, tendono ad alterarli.
la stabilità dell’ambiente interno
Possiamo definire l’omeostasi come l’attitudine specifica degli esseri di cercare di conservare la stabilità di alcuni parametri, come, ad esempio, la temperatura corporea o il pH, in un range di valori prefissati, limitati e ben definiti, nonostante esistano fattori esterni o interni all’organismo che tendono a modificarne le caratteristiche: attraverso i sistemi cibernetici che governano una rete di sistemi di controllo, l’insieme ordinato dei sottosistemi, che compongono l’organismo umano, intervengono simultaneamente regolando il flusso di energia e di metaboliti, in modo da conservare immutato, o quasi, l’ambiente interno.
Pertanto possiamo affermare che l’omeostasi descrive la variabilità auto-controllata delle funzioni adattative, all’interno di un intervallo di valori predeterminato, mentre possiamo considerare le condizioni omeostatiche come gli elementi della continuità; per reazioni omeostatiche, si intendono i mezzi per mantenere tale condizione di continuità; è un presupposto fondamentale per la sopravvivenza.
Il sistema omeostatico si basa su quattro principali componenti:
⇒ sistema afferente recettoriale, con il compito di percepire lo “stato dell’essere” e le informazioni estrinseche, cioè l’insieme delle percezioni propriocettive ed esterocettive che descrivono la situazione interna ed esterna all’organismo;
⇒ centro di controllo (sistema nervoso centrale), che tiene conto se l’elemento perturbante altera l’equilibrio omeostatico e valuta come agire per far sì che l’organismo mantenga i parametri di raffronto necessari per la salvaguardia delle funzioni vitali, comparando i dati in ingresso con i criteri ottimali di riferimento;
⇒ sistema efferente (sistema neuro-mio-fasciale, sistema neuro-immuno-endocrino), che mette in atto le strategie per riportare l’organismo all’interno dei range fisiologici;
⇒ la rivalutazione della condizione attuale, rispetto allo “status quo ante” che ha indotto il cambiamento adattativo: nel caso in cui la reazione omeostatica non fosse stata sufficiente, il processo viene ripetuto fino al raggiungimento dell’equilibrio antecedente allo stress.
Il processo, nel suo complesso, può essere definito a feedback, cioè basato sulla retroazione o controreazione: quando si attuano processi finalizzati al mantenimento della stabilità, contrastando gli effetti di uno stressor destabilizzante, si parla di feedback negativo, cioè una controreazione volta a opporsi alla modifica indotta sul sistema dalla variazione; viceversa si parla di feedback positivo quando l’organismo rinforza l’effetto mutageno dello stimolo, sia esso esogeno o endogeno.</p
omeostasi e allostasi
In realtà, l’omeostasi viene condizionata dall’allostasi, cioè dalla capacità tipicamente umana di garantire la stabilità dei sistemi fisiologici per mezzo dell’adattamento ai cambiamenti: l’organismo mira a mantenere costanti i parametri fisico-chimici del “milieu intérieur” (set-point omeostatici), ripristinando l’omeostasi corporea; da un punto di vista evolutivo si rende, però, necessario un costante adeguamento alle domande poste dall’ecosistema.
Se osserviamo la vita da un punto di vista evolutivo, ci rendiamo conto di come la filogenesi abbia cercato di “migliorare” la performance tipica di ogni specie (o dei singoli individui) per adeguarsi alle mutate condizioni ambientali: una sorta di continuo “gioco al rilancio” che ha comportato la ridefinizione dei rapporti fra specie o individui, in un modello competitivo che può ricordare l’”effetto della Regina Rossa”; è innegabile che il genere umano, nel suo insieme, abbia subito notevoli cambiamenti nel corso della sua storia, dovendo adattarsi alle continue trasformazioni a cui è stato sottoposto, alle modifiche del proprio stile di vita. La continua elevazione degli standard cui siamo sottoposti, come individui e tribù o come genere, ha reso necessario un impegno continuo a cercare di “alzare l’asticella”, a spostare il limite, con la necessità di non limitarci a mantenere l’omeostasi, cioè lo status quo, ma di proiettarci verso il futuro; a gettare le idee, le ambizioni ed i progetti, a “scagliare il cuore e la testa” oltre gli ostacoli, all’inseguimento di nuovi equilibri in divenire.
La presenza di comportamenti teleologici richiede l’adozione di dinamiche proattive, cioè finalizzate ad intervenire in anticipo: per poter prevenire situazioni potenzialmente dannose, per poter essere pronti a fronteggiare eventuali incrementi di richieste, per aumentare le nostre capacità prestazionali o per gestire imprevisti si rende necessario lo sviluppo di comportamenti evolutivi; l’eustress può essere visto come la risultanza del successo gestionale della relazione con l’ambiente.
Spesso ci ritroviamo a subire gli effetti dell’ansia, dei pensieri ricorrenti e dei dubbi oppure della paura, assumendo atteggiamenti difensivi che frequentemente generano dis-confort e disagio, con la conseguenza di far nascere uno stato di dis-stress; anziché sviluppare l’abilità di “pre-occuparci”, ovvero di precorrere le necessità consapevolmente, continuiamo a preoccuparci, subendo l’effetto del passato e delle sue proiezioni negative sul presente. Per gestire il processo omeostatico, il sistema nervoso si avvale di servomeccanismi e di forme di comunicazione cibernetica fra i differenti organi coinvolti, al fine di pianificare le azioni necessarie a rispondere allo stress per tempo; risulta evidente come percepire anticipatamente i problemi funzionali o le tendenze metaboliche sia non solo necessario ma indispensabile, per poter prevedere possibili stati di alterazione; tutto ciò rende ancora più rilevante l’esigenza che si crei una corretta integrazione fra le informazioni raccolte dall’ambiente e le risposte degli effettori neuro-endocrini o muscolari. Attraverso l’utilizzo del feedback come strumento di controllo e di analisi degli eventi, l’organismo è in grado di servirsi di processi allostatici e comportamenti teleologici per ottimizzare le risorse, sposando dinamicamente la mutevolezza dei bisogni e non limitandosi a mantenere stabili i set-point omeostatici: se da un lato questo permette di migliorare il “coping” alle variazioni dell’ecosistema, in un processo di continua rielaborazione, dall’altro pone le basi per un eventuale surmenage e burn-out.
Il fallimento della condizione omeostatica, può essere equiparato all’insuccesso delle strategie di gestione dello stress ed all’incapienza, con il conseguente dis-stress: l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene ed il sistema catecolaminergico si dimostrano incapaci di prevenire la fase di esaurimento, ultimo atto della “Sindrome Generale di Adattamento“, che apre la porta all’insorgenza di dis-funzioni e malattie, espressione dell’incapacità dell’organismo a fronteggiare energeticamente gli stressor, siano essi endogeni o esogeni, somatici o psico-emozionali.
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