definizione
Letteralmente “sapore di grasso”, originato dai grassi non esterificati (N.E.F.A.), che stimolano i recettori delle papille gustative: la rivista Chemical Senses, specializzata in chemorecezione (la risposta degli organi sensoriali a uno stimolo chimico), ha pubblicato nel 2015, uno studio che riconosce il grasso, come gusto primario, assieme a dolce, salato, amaro e aspro e umami; finora la presenza del grasso era considerata in funzione della percezione della consistenza e della testura (texture), mentre attualmente viene considerata come identificabile anche per il suo specifico sapore. Il termine oleogusto (oleogustus), proposto per descrivere questa sensazione rilevata dalla presenza di recettori specifici, deriva dalla radice latina ŏleum, dal greco ἔλαιον (élaion → olio), derivato di ἐλαία (elaía → ulivo).
Il sapore non va però confuso con la percezione di grasso, spesso descritta come gusto cremoso o vellutato, responsabile della texture e della palatabilità di certi alimenti, determinata dai trigliceridi: lo stimolo per il sapore è dato dagli acidi grassi di cui i trigliceridi sono costituiti: l’oleogusto, ovvero il sapore assoluto del grasso, soprattutto in eccesso può risultare sgradevole o spiacevole, da solo può provocare disgusto, ma in realtà viene ricercato e ci attrae perché esalta il meglio di altri sapori.
L’eccesso di acidi grassi liberi, qualora vengano ossidati, può conferire agli alimenti il sapore rancido che, da un lato, crea il particolare sapore dei formaggi piccanti o gli erborinati, dall’altro, può ricordare il retrogusto associato all’idea di conservazione difettiva, evocando il sentore del prosciutto tagliato da tempo, della frutta secca invecchiata, del burro diventato giallo, acido e con un retrogusto amarognolo, di caffè invecchiato perchè non confezionato adeguatamente o lasciato lungamente all’aria
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