better safe than sorry

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definizione

Letteralmente «prevenire è meglio che curare» o «meglio prevenire che curare», spesso sintetizzato, in inglese, con l’acronimo B.S.T.S.: il concetto che sottintende questo modo di dire, piuttosto popolare, è quello di stare attenti nel presente, in modo da evitare che si possano verificare problemi in seguito: anche se apparentemente sembra una massima ispirata al buon senso, il confine fra un ottica orientata alla prevenzione e l’ansia potrebbe rivelarsi molto labile.

Meglio allarmarsi che non allarmarsi affatto”, altro proverbio sovrapponibile nel significato profondo, esprime un tipo di ragionamento automatico che predispone chi lo afferma a focalizzare in maniera privilegiata la propria attenzione sulla valutazione degli eventi futuri come potenzialmente minacciosi o pericolosi e quindi porta ad attuare attitudini o comportamenti “predittivi” o “preventivi”, basati cioè sull’ideazione negativa, allo scopo di “evitare errori” o di sottovalutare il rischio o le possibili minacce: “meglio salvi che dispiaciuti” … o se si preferisce “la prudenza non è mai troppa”; il rischio potenziale è quello di creare profezie auto-avverantesi o di subire, almeno non consapevolmente, l’influsso dell’attitudine ansiosa, utilizzando meccanismi di evitamento, elusione o fuga.

ragionamento prudenziale

Il “Better Safe than Sorry” può essere considerato, quindi, uno strumento prudenziale finalizzato alla prevenzione di un potenziale danno, evidente, anche se spesso sotto traccia, in tutti quei disturbi somato-emozionali caratterizzati dalla percezione di una minaccia, reale o presunta: questo tipo di ragionamento entra in gioco a seguito della valutazione soggettiva che viene applicata ad un evento percepito come rischioso. A questo fenomeno consegue un atteggiamento di ansia o di paura, che attiva la disposizione a sottrarsi al pericolo o, per lo meno, a prevenirlo; tale predisposizione si realizza anche allo scopo di evitare errori di sottovalutazione dei segni premonitori o delle avvisaglie di possibili danni.

Viene, pertanto, privilegiato l’orientamento verso l’ipotesi di pericolo, ponendo particolare enfasi su qualunque indizio che corrobori tale idea: la raccolta di dati congrui con tale ipotesi, la produzione di inferenze confirmatorie, la conferma dei possibili rischi ne comportano la riconferma ed accettazione come evento ineluttabile; nei casi estremi, l’ansia, ancor più della paura, da luogo alla sensazione di “catastrofe incombente” che spinge chi vive questo circolo vizioso, ad anticipare conclusioni negative avversive.

Il loop concettuale è basato sulla sequenza (il)logica (ma, soprattutto, irrazionale):

ipotesi di pericolo → segnali congrui con tale ipotesi →
→ ignorare ogni dato contrario all’ipotesi negativa – negare scenari alternativi
ricercare riconferme della catastrofe incombete →
→ trarre inferenze che confermano l’ipotesi di pericolo → accettazione dell’eventualità negativa →
→ tralasciare e rifiutare ogni indizio che avvalori margini di sicurezze →
→ rigettare un possibile esito positivo

Questo tipo di ragionamento è chiaramente prudenziale e ha degli innegabili vantaggi: sicuramente garantisce un alto livello di protezione, assicurando un’elevata probabilità di sopravvivenza in situazioni potenzialmente stressanti: quanto più intensa è la minaccia percepita, tanto più intensa è la reazione emotiva e la conseguente disposizione ad evitare l’errore di sottovalutazione della minaccia e tanto più, dunque, ci si focalizza sulla ipotesi di pericolo e si trascurano ipotesi alternative, tanto più la raccolta dei dati favorisce quelli congrui a discapito di quelli incongrui, tanto più si inferiscono conferme della ipotesi focale e tanto più bassi sono gli standard per concludere il processo confermando l’ipotesi di pericolo, e dunque tanto prima e facilmente si giunge alla conclusione che il pericolo sussiste.

Il comportamento basato sul B.S.TS. può innescarsi a prescindere dalla reale intensità del pericolo o anche nel caso in cui il danno da prevenire non sia rilevante in sé (anche se lo diviene per una percezione soggettiva, in quanto l’individuo ritiene di avere il dovere di prevenirlo): questo tipo di strategia non è, nella stragrande maggioranza dei casi, intenzionale ma piuttosto dipende dal fatto che se si teme un pericolo allora la mente automaticamente si focalizza su tale possibilità e si defocalizza da possibilità più favorevoli.

dalla sicurezza all’ipocondria

Questo tipo di ragionamenti è spesso incarnato nell’attitudine emozionale degli ipocondriaci o patofobici ove la minaccia di un pericolo (perdita della salute – malattia – morbo) è valutata come grave: tipicamente l’identificazione di un disturbo, spesso minimale e non patognomonico, che innesca l’idea di una possibile patologia grave, attraverso l’identificazione con il “calvario” che una persona vicina o cara ha dovuto affrontare e che, solitamente, ha avuto un esito negativo.

Il costrutto (il)logico segue il bias cognitivo:

ho un problema →
→ mi ricordo che tizio è morto di cancro (o qualsiasi altra patologia) tra mille sofferenze →
→ aveva i miei stessi sintomi iniziali → non se ne è curato →
→ i medici dicevano che non era niente →
→ nessuno mi ascolta e tutti sottovalutano il mio problema →
→ quando si accorgeranno del mio malessere/malattia sarà troppo tardi →
→ sono sicuramente malato: vedo degli evidenti sintomi →
→ quando mi faranno la diagnosi sarà troppo tardi! 

In genere, a questo punto, inizia l’iter diagnostico, ovviamente infinito (vista l’inefficienza/incompetenza degli operatori) che porterà al “doctor shopping” ovvero al susseguirsi di medici/terapisti/guaritori, alla ricerca di qualcuno che finalmente capisca il “male oscuro”.

Ovvero qualora ci sia la focalizzazione su un possibile/potenziale pericolo, basato su una sensazione corporea può scatenarsi una transizione inconscia fortemente ansiogena che genera l’ossessione di essere seriamente malati; lo step seguente è la ricerca di riconferme della possibilità che l’evento divenga catastrofico, ovvero che, tra le fonti di informazione a disposizione (amici, conoscenti o, soprattutto Dr. Google) ci siano evidenti conferme della possibile patologia.

Il passo che ne consegue, alla luce del «meglio prevenire che curare» è un ragionamento del tipo «se vado dal dottore e non sono malato, non succede nulla, ma se non vado dal medico e sono malato, allora le conseguenze saranno catastrofiche»: se la diagnosi è rassicurante, ovviamente, occorre un ulteriore consulto, con lo steso medico o con un luminare, perchè ovviamente «la prudenza non è mai troppa».

In pratica la percezione di minaccia genera una strategia di pensiero che prende il sopravvento sulla razionalità, essendo motivata dallo stress che nasce dalla logica della sopravvivenza, ovvero dalla necessità di protezione nei confronti di errori cruciali: se l’investimento prudenziale è l’espressione del dis-confort emotivo o di uno stato ansioso, allora è possibile l’innesco di circoli viziosi che possono portare a comportamenti ossessivi con negazione di ogni altra realtà che non l’ideazione negativa e la predizione pessimistica, innescando profezie auto-avverantisi con esito catastrofico.

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